Il culto di Cerere.
La storia del grano in Sicilia è antichissima, ed è abbastanza risaputo che la nostra isola fu in tempi antichi la predilezione di Cerere, Dea della natura, della Terra e dei raccolti. Fu proprio in Sicilia, nella pianura di Catania, che la Dea insegnò agli uomini l’arte di arare il suolo, di spargervi i semi, di tagliare le messi.
Tale culto fu talmente radicato nella cultura dell’isola che già all’indomani della colonizzazione greca, la casta sacerdotale siciliana contestava la supremazia del Tempio di Eleusi sostenendo che “fu in Sicilia che l’uomo ricevette per la prima volta il dono del grano”. Inoltre, se consideriamo che il culto di Demetra-Cerere non tramontò nemmeno dopo l’affermazione della religione cristiana, comprendiamo il perché certe tradizioni rurali, come la Sagra delle spighe a Gangi, in provincia di Palermo, e la Festa del grano di Raddusa, in provincia di Catania, siano sopravvissute fino ai giorni nostri, e rappresentino il profondo legame che c’è tra il grano e i siciliani.

Grani unici al mondo.
A fine anni Venti, il professore Emanuele De Cillis catalogò oltre 50 ecotipi diversi di grano, tutti mantenuti vivi nella Stazione Sperimentale di Granicoltura di Caltagirone, che da quasi un secolo svolge un formidabile lavoro di ricerca e salvaguardia di questo importantissimo patrimonio.
Il numero cospicuo di diversi tipi di grano autoctono è la dimostrazione di quanto la Sicilia sia un luogo unico al mondo, e rappresenti un museo vivente di appartenenza Mediterranea.
Le caratteristiche dei grani antichi sono molteplici. Infatti, grazie all’altezza delle loro spighe, sono resistenti ad alcuni parassiti del grano e alle specie infestanti in modo da essere coltivate senza antiparassitari e concimi artificiali. Per l’altezza e la grandezza dei semi, i grani antichi non sono adatti alla raccolta meccanizzata, spingendo i coltivatori a scegliere metodi di raccolta più artigianali e rispettosi della natura. A causa di questa loro particolarità, a metà degli anni 70, caddero in disuso, sostituiti da grani moderni, che più si prestavano alla coltivazione e alla raccolta di tipo industriale e quindi intensiva.
Ma nell’ultimo decennio, grazie alla passione e al lavoro di una nuova generazione di coltivatori e trasformatori, e non per ultimi, di consumatori molto più attenti alla qualità, si è avviato un processo di riscoperta di questi prodotti.

Custodi del buono.
Tra gli amanti dei grani autoctoni siciliani c’è Valeria Messina, che a 44 anni decide di cambiare vita e svestire la toga da avvocato per seguire i propri sogni e diventare fornaia. Era alla ricerca di un buon pane da dare alle sue bambine, tracciabile dal campo di coltivazione alla macinazione. Non trovando risposte, si procura farine di grani antichi siciliani e inizia a farlo lei stessa. La sua passione la spinge a ricercare sempre di più, a documentarsi e sperimentare, seguendo corsi in giro per l’Italia, e nel 2018 inaugura Forno Biancuccia, dall’omonimo grano antico. Il cuore della produzione del Forno Biancuccia è la Pasta Madre, che conferisce al proprio pane un’aroma e un profumo unico nel suo genere.
Negli anni il Forno Biancuccia è diventato sinonimo di qualità e ricerca. Insieme ad altri 82 panificatori in tutta Italia, fa parte del gruppo dei Panificatori Agricoli Urbani (PAU), che rappresentano l’anello di una filiera preziosa che opera nel pieno rispetto della terra e dei suoi cicli naturali, portando sulla tavola del consumatore un pane agricolo, buono, nutriente e ricco di valori.
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